Allora, mi alzo, infilo due sacchetti della spesa in un braccio e due in un altro, appendo il pratico ombrello nella cinghia della borsetta e inizio ad avanzare verso l’uscita attraverso uno stretto corridoio cercando di non calpestare piedi, valige e cani ed evitando di colpire teste ciondoloni di persone semiaddormentate. Mentre procedo faccio mente locale e cerco di ricordare in quale tasca ho messo il cellulare, dove sono le chiavi e se ho chiuso la zip della borsa che ovviamente non riesco a rintracciare essendo la suddetta sommersa nel mare delle sacchette della spesa. Arrivata alla fine del corridoio c’è una porticina angusta che devo in qualche modo aprire. Getto un’occhiata verso la persona seduta accanto alla porta: è un ragazzo sui venticinque trent’anni che mi guarda. Adesso mi aprirà la porta, ne sono certa, non può non farlo, io sono una giovane donna e ho bisogno d’aiuto e lui mi offrirà il suo perché è così che è stato educato. Deve solo aprirmi la porta, non gli chiederò altro, né soldi né fama. Insomma aprimi ‘sta porta, per favore!
Ma non lo fa e così lo faccio io mentre l’ombrello cade e io inevitabilmente mi rattristo un po’ ma solo un po’.
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